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Visualizzazione dei post da agosto, 2013

Domani Vado

Stasera c'erano qui Fabry e Francy a mangiare la mia pizza e anche se non è tonda la mangiamo sempre in quei piatti giganti che più o meno tutti possiedono. I miei sono sei e raffigurano sei belle città del mondo: Parigi, Londra, New York, Il Cairo, Honolulu e Roma. Quando li dispongo sulla tavola lo faccio casualmente ma non mi faccio mai capitare Il Cairo, forse perché è l'ultima città che vorrei vedere, di solito capita sempre a L., in maniera spontanea. Comunque, succede che finita la cena, metto i piatti in lavastoviglie e mi scivola dalle mani verticalmente un piatto, si scheggia. Non si rompe ma piccoli pezzettini si staccano. Penso: speriamo che non sia Parigi e nemmeno Londra e nemmeno New York e nemmeno Roma, speriamo, speriamo.  E' Honolulu. Sono quasi felice. E' un segno. A Honolulu non ci andrò mai. Chissenefrega. Una cosa molto stupida, che mi si addice. E poi penso anche che sto per partire. Uno di quei viaggi normali. Che il vero viaggio si fa se si va

Cadermi Addosso

Uno poi si mette lì a pensare, che l'occasione della vita sia una sola, che passa e se te ne accorgi e se sei fortunato forse il ritmo ti cambia. E non solo. E magari ti cambia tutto. Quell'incessante stordimento di monotonia si trasforma in una strabiliante euforia giornaliera. Da non credere. Che poi ad un certo punto ti guardi indietro, ma nemmeno tanto, basta un giorno o un'ora, e capisci. Bastava cogliere l'occasione di essere presente, di essere buono, gioviale, di avere tempo, l'occasione di avere quell'amore e non farselo sfuggire, di mostrare quel talento che ti supera, l'occasione di ascoltare, un amico, un figlio, un fratello, di scappare, di ridere. Che queste occasioni ti cambiano la vita e nemmeno te  ne accorgi. C'è una cosa curiosa, in latino la parola occasione deriva da occasio , a sua volta da occasum derivazione di occidere. Il significato finale è cadere. Credo si intendesse un concetto astratto, come a voler dire che le occasioni

Naso in sù

Amici. Cari. Stasera state con il naso all'insù. E' San Lorenzo e tutti voi desiderate qualcosa. Conosco i desideri di ognuno, anche se non me li dite. E so con esattezza il motivo per cui, ogni tanto, siete tristi e gli occhi vi si inondano di pianto. Anche se siete lontani, anche se non dico niente. Sono presuntuosa, di una presunzione soffocata, per effetto di quello che chiamo sentire innato. Ho pensato che sarebbe bello che mi foste accanto, che si potesse stare vicini più spesso, che ci si potesse guardare negli occhi con quella frequenza di monotonia e abitudine. Come in queste sere, sarebbe bello unire tutte le sdraio, una a fianco dell'altra e aspettare che una stella passi e che tutti nello stesso istante potessimo gioire e sperare che quell'unico desiderio sia lì, dietro l'angolo. Io per anni ho espresso lo stesso desiderio e mi è capitato di vedere una stella cadente anche in dicembre, con Lilly, e forse quest'anno cambierò, giusto perché le stelle

Tu?

E tu dov'eri il 4 luglio del 2006, quando, al centodiciannovesimo minuto dei tempi supplementari di Germania - Italia, Fabio Grosso, dopo assist pennellato di Andrea Pirlo segna, con un sinistro a rientrare, il gol dell' uno a zero? Io al centodiciannovesimo minuto e tre secondi ero sul tavolino in legno, braccia al cielo, esultando mascolinamente, con tutta quella forza che mi spetta in casi del genere. Il silenzio delle strade è stato sfaldato inesorabilmente da un boato. E la finale è lì dietro l'angolo, penso, aspettando che l'orchestra di  Gilardino e Del Piero mi regalasse un altro salto leggiadro e le trombette di tutta la pianura padana nelle orecchie. Ecco quell'esaltazione calcistica  che  porta a chiederti chi invitare alla finale, che per scaramanzia non vorresti nessuno, perché altrimenti non si possono occupare gli stessi posti, mi manca. Terribilmente. Che quell'Italia lì non torna più. E quel bel napoletano di Cannavaro non alzerà più la coppa.