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Visualizzazione dei post da maggio, 2014

Tre anziché Seicento

Quella volta che ho visto When a Man Loves a Woman (Amarsi), ho versato lacrime nelle solite scene, nei soliti momenti, per le solite parole. Per essere precisa, quella volta che ho visto When a Man Loves a Woman, era ieri e nonostante fosse passato molto tempo dall'ultima visione, il mio labiale si adeguava perfettamente ai tempi di Meg e Andy. E quando nello splendido salotto buio della casa a stelle e strisce, il tavolino rovesciato dall'ira di lui, la confusione, gli occhi lucidi, i capelli spettinati, si percepisce l'inizio del vero dramma, lei dice ...io penso che ti amerei di nuovo se tu, per una volta sola, dicessi NON LO SO..., mi accorgo di lacrimare, con gli occhi sbarrati, come la prima volta, senza ritegno. E il povero Andy, con quella faccia lì, mica bella ma fascinosa, il non lo so , glielo dice veramente, poi aggiunge anche, scuotendo la testa, non ha funzionato , sale le scale e se ne va, beh lui si che ti fa dire, ehi biondina ma che cavolo stai facendo, l

Passepartout

Una volta ho pensato che la sincerità mi avrebbe salvata. Ho pensato che la trasparenza avrebbe fatto di me una persona sana. Ho pensato che se fossi stata sinceramente coerente mi sarei accerchiata di gente come me. Invece forse no. E' una questione di priorità. Io a volte le persone le faccio stare male, le faccio sentire come si sente uno che è appena stato schiacciato da un masso. Non succede perché io sia particolarmente forte o sadica, succede perché uno non se l'aspetta mai, la verità, intendo. Come gli schiaffi che prendi quando sei bambino. Non te li aspetti. Fanno male. Ti rimangono dentro e non se ne vanno più. Però poi capisci. Sono scomoda e a volte quando diventa troppo, mi ritiro. I fallimenti non mi piacciono ma accadono. Eccome se accadono. E' perseverare nel fallimento che mi terrorizza. La verità qui non basta mai. Soprattutto se te la raccontano da fuori. Allora smetto. Di dire le cose giuste nel momento sbagliato. Sto in silenzio e aspetto. Di quan

Palesemente

Passo dei periodi così. Non voglio niente. Voglio solo tornare a casa. Voglio cucinare torte, disegnare Jigen Daisuke, scrivere, sentire lamentele. Ma a casa. Quella che se fai la frittata lo sa anche il vicino della zia. La casa che odio, la casa che amo. Quella con la finestra piccola,  la tenda piccola, da cui sbircio il mondo di sempre. E' che ogni tanto dico a L che voglio andarmene (e lui ragionevolmente si arrabbia), che voglio scappare, che voglio altre mura perchè mi sento soffocare. Ed è vero che mi manca l'aria. Mi manca quasi l'ingresso ai polmoni, come se l'azoto, l'ossigeno e tutto il resto, avessero un accesso per le labbra ma si fermassero più in giù della gola. La sensazione è quella del riso mangiato troppo in fretta. Chicchi che in gola si attaccano ad altri chicchi e non vanno giù. Macignamente. Calamitamente. Forse è la volta che soffoco, forse è la volta che vomito. E' per questo che ad un certo punto mi fermo e butto giù acqua. Stappo

Ossa Rotte

Sembrava avessi la febbre, invece no. Avevo tutte queste ossa rotte e pressione nei piedi, come indossassi scarpe scomode anche a letto. Alle 21.20 ero già sotto le coperte. Non succedeva dal 1982. R. è preoccupato, mi porta un biscotto e lo appoggia sul comodino nel caso mi venisse fame. I pensieri si affollano e si pigiano l'uno sull'altro, senza ritegno, senza regole e siccome nessuno mi porterà una tazza di latte caldo, allungo una mano per afferrare il telecomando, accendere la televisione, appesa come fosse crocifissa, vedere se da qualche parte c'è qualcosa per cui valga la pena ascoltare. E non c'è niente. E a volte non ce la faccio nemmeno più ad ascoltare la vita degli altri, penso che servirebbe una buona dose di mediocre umiltà, servirebbe essere predisposti a scendere di un gradino, guardarsi dentro un po' meglio, che a buttare tutto nel cesso ci si mette un attimo. Eppure il desiderio è accecante. Come a dire che tutta questa vita addosso, quasi da