Voci dentro e fuoricampo.
Immagini.
"Capodanno,
Millenovecentonovantanove, che solo a dirlo mi spavento, si pensava che
il mondo potesse esplodere e se proprio doveva essere, meglio lasciare i nostri
resti in un posto bellissimo.
Io e Lilly,
poco più che ventenni, partiamo per
Parigi, un viaggio nauseabondo di dieci ore, sedute e imprigionate in un pullman, circondate da
persone di cui non ricordo nemmeno un viso. Ma ci siamo ripassate le
sopracciglia, abbiamo ascoltato musica, appena passato il confine abbiamo
bevuto acqua Evian e abbiamo pensato che anche la noia sarebbe stata
fantastica.
Il nostro hotel era
situato nel quartiere La Villette , XIX Arrondissement (o forse era il XVIII?) e
non era esattamente come l’avevamo immaginato. Tutto troppo grande, troppo
moderno, troppo americano, troppo caldo, troppa moquette, troppo e basta. Ma
non importa. Il metro era vicino. Dietro l’angolo, l’accesso al mondo. Qualche
fermata ed eri a MontMartre, Notre Dame e ovunque tu volessi andare. Diventiamo turiste e giriamo e
camminiamo e mangiamo baguette e compriamo cose belle e andiamo alla Gare
D’orsay e al Louvre e sorseggiamo un thè
in un baretto di Saint Germain, che solo così ti puoi sentire parte integrante
di una città con tutti quei marciapiedi,
guardiamo da fuori la casa di Picasso, stiamo con il naso all’insù tutto il
tempo, tranne quando passiamo su uno di quei tanti ponti che attraversano la
città.
E le risate. Se chiudo gli occhi e tappo le orecchie, le
sento ancora. Distinte ma poco composte,
riversate in avanti e indietro, automatizzate, senza fine, ripercorse e
lacrimanti. Peraltro condivise con un
gruppo di ragazzi arrivati a Parigi, con un furgoncino bianco, dalla
ridente e nebbiosa Meda. Dove e come li abbiamo conosciuti non
lo ricordo. Credo soggiornassero nel nostro stesso albergo o quartiere o metro.
Comunque. Qualche pezzo di giornata è trascorsa con loro. Forse uno si chiamava
Daniele e noi lo pronunciavamo senza la e
finale, una foto ingiallita la ricordo, strapazzato insieme agli amici di
qui e di là, tra vie piccole e musei.
Poi arriva il trentuno, ultimo freddo giorno dell’anno.
Forse il mondo esplode o forse no, cerchiamo di stare vicini alla Tour
Eiffel. Decidiamo di uscire e tornare al mattino, perché il metrò ad un certo
orario chiude e se avessimo camminato e camminato da un arrondissement
all’altro avremmo potuto solo avvicinarci e mai arrivare. Andava bene comunque.
Ci infiliamo in un ristorantino
italiano, mangiamo un piatto di lasagne calde in una ciotola di terracotta, le
luci delle case sono tutte accese e ogni tanto si sente musica viva uscire da
portoni bui. Un’atmosfera perfetta. Champs Elysèe colmi di gente, noi facevamo parte di un
agglomerato di voci, siamo state parte integrante di foto scattate da sconosciuti, smorfie e sorrisi. Stupidamente. Casualmente. Che il
mondo è stato anche nostro.
E' mezzanotte. Volano bottiglie. La gente spara. Noi
corriamo. Lontano dal fragore. E ci abbracciamo. E pensiamo che
tutto avrà sempre questo movimento. E il sapore di niente ci scivolerà
continuamente dalle spalle. Perché poi iniziamo a camminare. Decidiamo di
arrivare alla Tour Eiffel. Poi al Louvre. Ma con calma. Che la notte era tutta
nostra. Mica lo sapevamo che non ci saremmo
mai arrivate.
E’ qui che incontriamo Lui. Il ragazzo. La bellezza maschile
assoluta. Mathieu che Mathieu non è. Seduto sul marciapiede adiacente una pensilina. Palesemente
brillo. Improvvisato cantante. Per microfono una bottiglia di birra. Lui che
ride, con una bocca perfetta, che
scherza, lui che parla come fosse un marziano. Lui che abbraccia un amico. Lui
che domanda da che parte del mondo veniamo. Lui che proprio francese non è.
Non succede nulla. Una foto. Qualche battuta. Che a
ripensarci sembra una cosa assurda, quasi surreale.
Ci è rimasta un’immagine. Un sorriso. E’ il fulcro della
vacanza, quel pezzo di memoria che non se va. Ed è questa la cosa strana. Ne abbiamo parlato e fantasticato per anni. Oggi, ancora nominato.
Perché in tutta
questa vita mi è capitato di passare del tempo e di aver condiviso situazioni
con persone di cui non ricordo il nome. Ci sono persone che passano, si
fermano, se ne vanno, senza lasciare traccia alcuna. Mentre Mathieu non è
nemmeno passato, è solo comparso, eppure lo ricordiamo con quell’entusiasmo e
quella nitidezza che mi lasciano esterrefatta.
Mi chiedo perché. Forse era il momento,
l’euforia del soggiorno in una città fantastica, i nostri nasi forse erano
stanchi di stare sempre in su, abbiamo fatto di un’immagine un ideale, un
ricordo tanto limpido quanto utopico.
Mathieu rimane colui che vive perfetto e sempre giovane. In
qualche posto, qui fuori. "
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