Si festeggiava il Venticinque a pranzo, tutti insieme, mia madre apriva l'enciclopedia della cucina molti giorni prima e appiccicava dei post-it tra le pagine al posto di segnalibri.
Una famiglia impegnativa, un albero genealogico con pezzi mancanti.
Chi era il papà di Carla.
Un musicista viennese.
(Tutti noi abbiamo dentro un pezzo mancante).
Un militare di qualche paese lontano.
(Qualcuno di noi ha un colore di occhi che non arriva da nessuno che conosciamo)
Un uomo troppo sposato.
(Il verde non troppo verde).
Un uomo che non sapeva di essere un padre.
(Ognuno di noi ha un lato del carattere senza origine).
Un padre che non sapeva di essere un uomo.
(Il pezzo mancante è la giustifica alla nostra perenne irrequietezza).
Un uomo.
Chi fosse nessuno l'ha mai saputo.
La mamma di Carla, la mia nonna bis materna, non ha mai rivelato chi fosse quell'uomo.
Per questo e per altro a Natale, ci siamo sempre guardati in faccia, sospetti, mancando dell'altro almeno una parte. A tavola, occhi negli occhi, carta scartata dopo carta scartata ci siamo trascinati verso i cestini di frutta secca e verso i due schiaccianoci per le venti persone sedute a tavola.
Fammi vedere qual è il tuo pezzo mancante.
Fammi sapere fino a che punto arrivi oltre.
Oltre te stesso. Oltre quello che conosci. Oltre quello che puoi dire essere tuo.
Oltre.
Il fantasma del Natale passato ha l'odore della Tombola e dei fagioli secchi per coprire le caselle, qualcuno urla Ambo senza sia vero, siamo felici anche con il terno.
Il fantasma del Natale passato ha l'odore stantio della zia Tindera che parlava a bassa voce e indossava calze color carne, del marito con la voce rauca e le battute sgraziate che ci facevano ridere perché non facevano ridere.
Il fantasma del Natale passato vede i cugini tutti vicini, le sorelle che parlano a bassa voce, i padri che raccontano barzellette stupide, il senso perplesso di un pezzo di formaggio al centro della tavola assaggiato solo nell'angolo.
La felicità, quella semplice, è quella di tutte le sedie occupate, i bicchieri sovrapposti ai piatti e alle risa del Mercante in Fiera, è una fotografia sfocata di persone che non guardano l'obiettivo, le luci dell'albero come sfondo.
La felicità non era delle grandi cose, dei grandi pacchetti, era vedere le mani veloci di Carla che tornava bambina senza mai esserlo davvero stata, era stare in punta di piedi per non calpestare le carte altrui, era fare i gradini delle scale con il sedere per vedere se si poteva arrivare più veloci.
Il Natale di oggi è fatto di tutti i Natali di ieri.
E' cosi che nonostante tutto, il nostro pezzo mancante, è come un fagiolo segna numeri, spostato con un soffio, fatto cadere sotto il tavolo, ripreso con la mano giusta, stretto e poi lasciato di nuovo libero, al proprio posto, sulla casella corretta.
Una famiglia impegnativa, un albero genealogico con pezzi mancanti.
Chi era il papà di Carla.
Un musicista viennese.
(Tutti noi abbiamo dentro un pezzo mancante).
Un militare di qualche paese lontano.
(Qualcuno di noi ha un colore di occhi che non arriva da nessuno che conosciamo)
Un uomo troppo sposato.
(Il verde non troppo verde).
Un uomo che non sapeva di essere un padre.
(Ognuno di noi ha un lato del carattere senza origine).
Un padre che non sapeva di essere un uomo.
(Il pezzo mancante è la giustifica alla nostra perenne irrequietezza).
Un uomo.
Chi fosse nessuno l'ha mai saputo.
La mamma di Carla, la mia nonna bis materna, non ha mai rivelato chi fosse quell'uomo.
Per questo e per altro a Natale, ci siamo sempre guardati in faccia, sospetti, mancando dell'altro almeno una parte. A tavola, occhi negli occhi, carta scartata dopo carta scartata ci siamo trascinati verso i cestini di frutta secca e verso i due schiaccianoci per le venti persone sedute a tavola.
Fammi vedere qual è il tuo pezzo mancante.
Fammi sapere fino a che punto arrivi oltre.
Oltre te stesso. Oltre quello che conosci. Oltre quello che puoi dire essere tuo.
Oltre.
Il fantasma del Natale passato ha l'odore della Tombola e dei fagioli secchi per coprire le caselle, qualcuno urla Ambo senza sia vero, siamo felici anche con il terno.
Il fantasma del Natale passato ha l'odore stantio della zia Tindera che parlava a bassa voce e indossava calze color carne, del marito con la voce rauca e le battute sgraziate che ci facevano ridere perché non facevano ridere.
Il fantasma del Natale passato vede i cugini tutti vicini, le sorelle che parlano a bassa voce, i padri che raccontano barzellette stupide, il senso perplesso di un pezzo di formaggio al centro della tavola assaggiato solo nell'angolo.
La felicità, quella semplice, è quella di tutte le sedie occupate, i bicchieri sovrapposti ai piatti e alle risa del Mercante in Fiera, è una fotografia sfocata di persone che non guardano l'obiettivo, le luci dell'albero come sfondo.
La felicità non era delle grandi cose, dei grandi pacchetti, era vedere le mani veloci di Carla che tornava bambina senza mai esserlo davvero stata, era stare in punta di piedi per non calpestare le carte altrui, era fare i gradini delle scale con il sedere per vedere se si poteva arrivare più veloci.
Il Natale di oggi è fatto di tutti i Natali di ieri.
E' cosi che nonostante tutto, il nostro pezzo mancante, è come un fagiolo segna numeri, spostato con un soffio, fatto cadere sotto il tavolo, ripreso con la mano giusta, stretto e poi lasciato di nuovo libero, al proprio posto, sulla casella corretta.
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